Di
seguito riportiamo la "Lettera del figlio di un'operaio" di Luca Mazzuco, pubblicata per la prima volta il 4 ottobre 2010. Pubblichiamo anche uno nostro contributo
video realizzato sempre nello stesso anno, dove raccontiamo la storia di un
operaio della catena di montaggio di Mirafiori.
Prologo.
Dopo
vari tentativi di stravolgere lo statuto dei lavoratori, nel 2010 avviene la
forzatura con la ricetta "Marchionne", elogiata all'epoca dal giovane
sindaco fiorentino, oggi presidente del consiglio. Eravamo in molti a dire che
quello era solo l'inizio. Un esperimento portato in Fiat per poi essere esteso
su scala nazionale. Con il Jobs Act stiamo andando anche oltre.
C'è
rassegnazione nell'aria, prima o poi passerà. Renzi, che si presenta con la
faccia pulita (non fa il Bunga Bunga), dotato di un'arroganza che viene confusa per simpatia e
determinazione, ha fagocitato tutto e tutti, e riuscirà, forte anche del
quaranta per cento ottenuto alle Europee, là dove Berlusconi ha fallito. Basti
vedere il trattamento alla Scelba, riservato ai lavoratori dell'AST diTerni, caricati dalla polizia solo perché
difendevano il loro posto di lavoro. Il leader della Leopolda sta riuscendo anche
nella macabra impresa di farci rimpiangere il pregiudicato di Arcore ...
Diventa
quindi necessario vendere cara la pelle. Noi lavoratori non abbiamo molti
strumenti per opporci. Quei pochi che sono ancora a disposizione dobbiamo
usarli fino in fondo.
Venerdì
14 novembre ci sarà lo sciopero generale della FIOM e dei sindacati di
base (CUB, COBAS, USI, USB) con manifestazione a Milano. E' arrivato il momento di dire basta e di unire la lotta per la difesa dei diritti. E' importante aderirvi e partecipare ai vari cortei anche se non si è iscritti a nessun sindacato.
"Ero tornato da poche ore, l’ho visto,
per la prima volta, era alto, bello, forte e odorava di olio e lamiera.
Per anni l’ho visto alzarsi alle quattro del
mattino, salire sulla sua bicicletta e scomparire nella nebbia di Torino, in
direzione della Fabbrica.
L’ho visto addormentarsi sul divano,
distrutto da ore di lavoro e alienato dalla produzione di migliaia di pezzi,
tutti uguali, imposti dal cottimo.
L’ho visto felice passare il proprio tempo
libero con i figli e la moglie.
L’ho visto soffrire, quando mi ha detto che
il suo stipendio non gli permetteva di farmi frequentare l’università.
L’ho visto umiliato, quando gli hanno
offerto un aumento di 100 lire per ogni ora di lavoro.
L’ho visto distrutto, quando a 53 anni, un
manager della Fabbrica gli ha detto che era troppo vecchio per le loro
esigenze.
Ho visto manager e industriali chiedere di
alzare sempre più l’età lavorativa, ho visto economisti incitare alla
globalizzazione del denaro, ma dimenticare la globalizzazione dei diritti, ho
visto direttori di giornali affermare che gli operai non esistevano più, ho
visto politici chiedere agli operai di fare sacrifici, per il bene del paese,
ho visto sindacalisti dire che la modernità richiede di tornare indietro.
Ma mi è mancata l’aria, quando lunedì 26
luglio 2010, su “La Stampa” di Torino, ho letto l’editoriale del Prof. Mario
Deaglio. Nell’esposizione del professore, i “diritti dei lavoratori” diventano
“componenti non monetarie della retribuzione”, la “difesa del posto di lavoro”
doveva essere sostituita da una volatile “garanzia della continuità delle
occasioni da lavoro”, ma soprattutto il lavoratore, i cui salari erano ormai
ridotti al minimo, non necessitava più del “tempo libero in cui spendere quei
salari”, ma doveva solo pensare a soddisfare le maggiori richieste della
controparte (teoria ripetuta dal Prof. Deaglio a Radio 24 tra le 17,30 e la
18,00 di martedì 27 luglio 2010)...Pensare che un uomo di cultura, pur con
tutte le argomentazioni di cui è capace, arrivi a sostenere che il tempo libero
di un operaio non abbia alcun valore, perché non è correlato al denaro, mi ha
tolto l’aria. Sono salito sull’auto costruita dagli operai della Mirafiori di
Torino. Sono corso a casa dei miei genitori, l’ho visto per l’ennesima volta.
Era curvo, la labirintite, causata da milioni di colpi di pressa, lo faceva
barcollare, era debole a causa della cardiopatia, era mio padre, operaio al
reparto presse, per 35 anni, in cui aveva sacrificato tutto, tranne il tempo
libero con la sua famiglia, quello era gratis. Odorava di dignità."
Questo
modello del lavoro, ci sfrutta, ci occupa dieci dodici ore al giorno per
sostenere il capitalismo in qualsiasi forma si presenti, non solo ci ruba il
futuro ma ci ha rubato anche il passato. Ci ruba la cosa più preziosa, che non
è il denaro ma il tempo, e ci concede, quando la fortuna ci assiste, solo gli
ultimi anni di vita.
Un
piccola riflessione in attesa dei vari scioperi generali.
ps. Il professore Deaglio citato nel testo altro non è che il marito di Elsa Fornero ...
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