L'ormai celeberrima vicenda del Piano Integrato di Intervento Cascine S. Giuseppe/Villa Colombo con la definitiva sentenza n. 183/2014 del Consiglio di Stato ha prodotto un risvolto curioso, ma non inaspettato, ovvero l’asserita richiesta di danni milionari all'Amministrazione Comunale, rea di aver concesso il rilascio di una concessione edilizia successivamente dichiarata illegittima in sede giurisdizionale.
Comunque, è pur vero che l'interpretazione delle norme è non raramente contraddittoria, ma altrettanto vero che la richiesta di risarcimento non è automatica e ancor meno valida, legittima e scontata.
Al riguardo citiamo il principio affermato dal TAR (Tribunale Amministrativo Regionale), poi confermato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 183 del 17 gennaio 2014, la quale ha, infatti, chiarito che “l'amministrazione, pur avendo rilasciato una concessione edilizia illegittima, non è tenuta a corrispondere nessun risarcimento qualora non spetti, al soggetto che ha presentato il progetto non assentibile, alcun bene della vita, non potendosi, in questa ipotesi, qualificare come ingiusto, il danno che deriva dal successivo annullamento del titolo edilizio rilasciato”.
Il Tar ha respinto, dunque, la domanda risarcitoria, “ritenendo che non si potesse nella specie configurare una responsabilità risarcitoria della PA, per le conseguenze dannose derivanti dall'annullamento di un titolo ad aedificandum, nei confronti di chi ne abbia chiesto il rilascio sulla scorta della presentazione di un progetto non conforme alla normativa edilizia e urbanistica”.
La motivazione del Tar si incentra sull'applicazione del principio di auto responsabilità, di cui all'articolo 1227 del codice civile, in base al quale deve essere escluso il risarcimento dei danni riconducibili al concorso del fatto colposo del creditore, e di cui all'articolo 50 del codice penale, che nella sfera dei diritti privati e in materia di responsabilità aquiliana «comporta l'esclusione della antigiuridicità dell'atto lesivo per effetto del consenso del titolare, ove il consenso sia stato validamente prestato e abbia avuto a oggetto un diritto disponibile (Cassazione civile 1682/1997)».
Ciò che i giudici di prime cure hanno in sostanza affermato è che “la parte privata che propone istanza per ottenere un titolo edilizio senza verificare la conformità del progetto presentato alla disciplina edilizia vigente, avvalendosi anche di qualificati professionisti, non può poi chiedere che l'eventuale responsabilità connessa al rilascio del titolo venga addossata all'amministrazione, in ragione del mancato riscontro del progetto presentato con la disciplina edilizia”.
Questi principi giuridici sono stati ribaditi ed approfonditi anche dal Consiglio di Stato, in grado di appello, laddove, nella predetta sentenza, specifica che “l’istanza risarcitoria non può essere accolta poiché il riscontro della pretesa risarcitoria supera solo il presupposto dell’ingiustizia del danno non jure (è stato appurato con sentenza irrevocabile che il potere amministrativo è stato utilizzato in modo illegittimo), mentre è assente un danno contra ius, perché all’originario istante non spettava l’ottenimento del bene della vita sotteso al suo interesse legittimo. Tanto che l’Amministrazione, qualora avesse posto in essere una condotta jure avrebbe dovuto respingere fin dall’inizio l’istanza di concessione edilizia”.
Nel caso specifico di Sedriano, pertanto, “La parte che invoca la tutela risarcitoria non postula dunque un esercizio illegittimo del potere, consumato in suo confronto con sacrificio del corrispondente interesse sostanziale, ma la colpa che connota un comportamento consistito per contro nella emissione di atti favorevoli, poi ritirati per pronunzia giudiziale, atti che hanno creato affidamento nella loro legittimità ed orientato una corrispondente successiva condotta pratica, poi dovuta arrestare”.
Ciò, in astratto, sarebbe possibile a seguito di alcune ordinanze emesse nel 2011 dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con le quali si è stabilito che “in mancanza di un atto impugnabile che abiliti il proprietario, o il titolare di altro diritto, a costruire sul fondo, l’unica tutela invocabile, in virtù del principio generale “neminem laedere, è quella fondata sul concetto di affidamento incolpevole; la giurisdizione per tale azione sarebbe del Giudice ordinario, perché integrante un diritto soggettivo.
Ma come già detto, anche tale tutela risarcitoria, non può considerarsi automatica o scontata.
Tale situazione giuridica tutela, infatti, solo il soggetto che senza sua colpa ha confidato nella validità (poi venuta meno) della condotta della Pubblica Amministrazione, la quale è tenuta a rispettare “principi generali di comportamento, quali la perizia, la prudenza, la diligenza e la correttezza”;
con la conseguenza, che se da una parte, il Giudice, sempre che la parte che agisce ne dia prova, “può affermare la responsabilità dell’amministrazione per danni conseguenti a un atto illegittimo quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimento normativo e giuridico tali da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato”, dall’altra parte, però, lo stesso Giudice potrebbe decidere sulla mancanza di responsabilità dell’amministrazione per l’assenza del danno ingiusto, oppure, ex art. 1227 c.c., potrebbe decidere che “…Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza.
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