Anche quest’anno portiamo il nostro contributo alla giornata dell’otto marzo, storica data che ci ricorda il prezzo che le donne pagano quando diventano protagoniste della loro vita e attive nelle lotte sociali.
In quell’otto marzo degli inizi del novecento, un centinaio di operaie bruciarono all’interno di una fabbrica occupata: chiedevano migliori condizioni di lavoro, diritti.
A più di cento anni di storia abbiamo cambiato molte cose, provando ad uscire dallo schema madre-sposa e conquistandoci sempre più spazi, in quanto persone con una propria testa e propri desideri.
Usare il proprio cognome? Per una moglie italiana era impossibile fino al 1975.
Intraprendere la carriera di magistrato? Niente da fare, per una donna del nostro Paese, fino al 1963. Più facile, era invece, essere condannate per tradimento, visto che l’adulterio femminile cessa di essere reato solo nel 1968.
Nel 1945 il Regno d'Italia istituì il suffragio femminile e le donne votarono alle amministrative. Nel 1946 avvenne il primo voto su scala nazionale, al referendum che sancì la nascita della Repubblica italiana e alle contemporanee elezioni politiche dell'Assemblea costituente.
Le donne quindi conquistano il diritto di voto solo nel 1945 e nel 1946. Protagoniste furono, le 21 donne presenti all’Assemblea costituente, donne spesso provenienti dalla lotta partigiana, chiamate "Madri della Costituzione della Repubblica", donne di valore, coraggio e intelligenza che riuscirono a far capire agli uomini l'importanza di inserire le donne nei processi democratici, come elemento fondamentale di sviluppo per un popolo.
Donne che spesso condividevano con le altre elette in parlamento, trascorsi di prigione e di confino. Tutte le "Madri " lottarono e furono attente alle speranze delle italiane, per non deludere le migliaia di donne partigiane, staffette, donne antifasciste e donne comuni che in mille modi avevano contribuito alla Liberazione d'Italia.
Se si fa invece il punto sulla condizione femminile oggi in Italia, vanno ricordate le due leggi madre, aborto e divorzio, rispettivamente del 1970 e del 1978 – forse le più discusse e controverse, ma molto importanti per l'emancipazione femminile, vanno evidenziate anche normative di allora meno note ma egualmente significative: come la legge del 1975 che, riformando il diritto di famiglia, stabilisce la parità tra i coniugi (mentre la piena parità giuridica tra i figli nati dentro e fuori il matrimonio arriverà solo nel 2012). O quella legge del 1981, grazie alla quale sparisce dal diritto penale il cosiddetto “delitto d’onore”.
Vanno ricordate le misure che hanno introdotto forme di tutela specifiche per le donne e le mamme lavoratrici, prive di qualsiasi aiuto fino al 1950: è di quell’anno, infatti, la legge che vieta il licenziamento fino al primo anno del bambino e introduce il trattamento economico dopo il parto.
Nel 1956, arriva la legge sulla parità retributiva tra uomo e donna, mentre nel 1963 si dichiarano nulle le cosiddette “clausole di nubilato” nei contratti di lavoro, che molte donne erano costrette a firmare e si consente alle donne pieno accesso a tutte le professioni e agli impieghi pubblici.
Nel 1971, viene varata dal Parlamento Italiano la Legge n. 1204, a tutela delle lavoratrici madri. Si tratta di una legge di straordinaria ampiezza sociale, che valorizza la maternità, senza costringere la donna a rinunciare al lavoro; sono una serie di norme la tutelano sia economicamente che sul versante della salute e le consentono di allevare un figlio nei primi mesi di vita e oltre.
Importanti, in questa direzione, anche le leggi che istituiscono la scuola pubblica gratuita per tutti i bambini dai tre ai sei anni, denominata scuola materna e gli asili nido comunali, oppure leggi per la parità tra padri e madri nei congedi parentali (1983), infine l’indennità di maternità per le lavoratrici autonome (1987) e per quelle disoccupate (1998).
E poi ci sono, ovviamente, le leggi per fermare le violenze nei confronti delle donne: quella del 1996, quando finalmente e tardivamente, la violenza sessuale diventa reato contro la persona e non contro la moralità pubblica, quando si stabiliscono pene gravi per chi compie violenza; e quella del 2009 che introduce il reato di stalking, per arrivare a quella contro il femminicidio approvata di recente nel 2013 dal Parlamento.
Il bilancio però, a quasi settant’anni dall’Assemblea costituente, primo evidente baluardo dell’emancipazione femminile in Italia, resta ancora amaro. Da alcuni anni si vive un lento, ma inesorabile arretramento, non solo sul rispetto dei diritti acquisiti, ma anche sulla conquista di nuovi ed è bene rilevare che questo fenomeno tocca ambedue i sessi e crea sconcerto l’indifferenza, l’insensibilità, il disinteresse, l’apatia e lo stoicismo che domina le passioni, che regnano nelle giovani generazioni d’oggi.
Basti pensare al numero crescente di obiettori di coscienza che allunga i tempi per l’aborto, agli scarsi o nulli servizi di sostegno alla maternità, a una legge sulla fecondazione assistita svuotata dalle successive sentenze della Corte Costituzionale e della Corte di Strasburgo e dai vari ricorsi, ma che almeno c’è, ed è ancora in vigore, ma che sinceramente andrebbe rivista e sistemata, al fatto che non esiste ancora una normativa che regola o impone una quota di genere alle elezioni per il Parlamento, purtroppo in maggioranza composto da uomini, all’assurdità, tutta italiana, di non riconoscere le coppie di fatto, alla mancanza del riconoscimento di un reddito minimo ai disoccupati e alle disoccupate e ai giovani.
Ma il problema più drammatico resta il lavoro, le donne pagano un prezzo altissimo dove una precarizzazione crescente ha reso fragili o inutili leggi importanti pensate per un mondo ormai cambiato, quasi scomparso, mentre persistono pratiche aberranti come le cosiddette “dimissioni in bianco” e la scarsità di fondi pubblici rendono i servizi sociali, come ad esempio un posto al nido comunale, simili alla vittoria ad una lotteria, quando invece dovrebbe essere un diritto ed una opportunità, senza esclusioni, da dare a tutte le donne lavoratrici, senza contare alle difficoltà per ottenere un rapporto di lavoro part-time, oppure ottenere negazioni, quando si richiedono orari di lavoro compatibili con la gestione dei figli a scuola o di anziani malati a casa.
Voglio citare lo stralcio di un discorso del Mahatma Gandhi, che non conoscevo ma che ho letto in questi giorni e che reputo molto interessante e degno di riflessioni :
“Chiamare la donna il sesso debole è una calunnia; è un’ingiustizia dell’uomo nei confronti della donna. Se per forza s’intende la forza bruta, allora sì, la donna è meno brutale dell’uomo. Se per forza s’intende la forza morale, allora la donna è infinitamente superiore all’uomo.
Non ha maggiore intuizione, maggiore abnegazione, maggior forza di sopportazione, maggior coraggio? Senza di lei l’uomo ... non potrebbe essere. Chi può fare appello al cuore dell'umanità più efficacemente della donna?
Se la non violenza è il futuro della nostra esistenza, il futuro è con la donna.
Se soltanto le donne dimenticassero di appartenere al sesso debole, non ho dubbio che potrebbero opporsi alle guerre infinitamente meglio degli uomini"
Questi sprazzi di storia consentono a tutti di capire quanto è stato fatto dalle donne per le donne e quanto si è lottato e detto, per ottenere tutti quei diritti che le donne hanno oggi.
Altro che sesso debole, altro che pregiudizi sulle donne! Le donne sanno stupire, bisogna solo rispettarle ed ascoltare la loro voce, perché secondo me hanno tanto da dire.
Leggere la storia quindi per non dimenticare, in questa giornata che non sia commerciale e festaiola ma di riflessione e sensibilità, si deve ricordare ... e si deve andare avanti, purtroppo c'è' ancora tanto da fare.
Rossella SdS
semplicemente meraviglioso questo articolo. è chi altro, se non una DONNA, poteva trovare parole più giuste.Giusi
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