Michele lavora in fabbrica. È una di quelle persone che non possono stare a casa. È stanco psicologicamente e fisicamente. Esce dal lavoro, si ferma al semaforo rosso, ha giù il finestrino, si gode il sole e sente un urlo "stai a casa assassino! Dovete stare a casa sennò ci uccidete tutti!".
Si gira e dalla cascina che costeggia la strada, una tizia alla finestra sta gridando. Proprio rivolta a lui. La donna alla finestra l'ha visto fuori casa e la sua reazione è abbastanza violenta. Una persona che non lo conosce, che non sa nulla della sua vita, non sa perché è fuori casa, si sente in diritto di gridargli le sue frustrazioni dalla finestra. Non si sono mai viste prima ma lei, sicura tra le mura domestiche intenta a salvare il mondo, giudica lui, l'assassino fuori casa senza motivo. Non è l'unico caso. Il "restare a casa" è più di un obbligo dovuto a una misura governativa. È un discrimine morale. Fa la differenza tra la vita e la morte. E se esci diventi un assassino. In automatico.
Pensando alla peste di Milano e a I promessi sposi, ciò che Manzoni scrive di quel contagio è analogo a molte cose che abbiamo visto nelle settimane passate. All'inizio pochi casi, qua e là, nel territorio. Alle voci lontane di ciò che avveniva altrove, il popolo ha prima minimizzato, sottovalutando le prime avvisaglie d'allarme: «Ma [...] ciò che fa nascere un'altra e più forte meraviglia, è la condotta della popolazione medesima, di quella, voglio dire, che, non tocca ancora dal contagio, aveva tanta ragion di temerlo. [...] sulle piazze, nelle botteghe, nelle case, chi buttasse là una parola del pericolo, chi motivasse peste, veniva accolto con beffe incredule, con disprezzo iracondo». Dopo di che, non appena ci si convince che il problema è reale, scatta un secondo meccanismo: trovare una categoria sulla quale far ricadere la colpa di quanto avvenuto. Ne I promessi sposi questa categoria era quella dell'untore: «Contro di essi si scatenò spesso l’ira popolare, e si dette anche corso a persecuzioni giudiziarie». Gli untori nell'Italia di oggi sono quelli che decidono di uscire di casa.
E oggi, come nella Milano della peste, le persone affacciate ai balconi o connesse ai social sul proprio monitor del computer osservano attente per scoprire chi "infrange la legge", con tanto di delazioni e fotografie e pubblicate su Facebook, per consegnare alla gogna pubblica il colpevole di turno: «Gli animi, sempre più amareggiati dalla presenza de' mali» leggiamo nel XXXII capitolo, questa volta, e «irritati dall'insistenza del pericolo, abbracciavano più volentieri quella credenza: ché la collera aspira a punire: [...] le piace più d'attribuire i mali a una perversità umana, contro cui possa far le sue vendette, che di riconoscerli da una causa, con la quale non ci sia altro da fare che rassegnarsi».
La parola che oggi sembra aver sostituito "untore", con tanto di trasmigrazione di significato, è quella di runner. Coloro che vanno a fare attività fisica all'aperto. E, più in generale, chi non sta a casa.
Uscire all'aperto per fare attività fisica è qualcosa che i decreti attualmente in vigore permettono seppur con molte restrizioni : "Resta consentito svolgere individualmente attività motoria nei pressi della propria abitazione, purché comunque nel rispetto della distanza di almeno un metro da ogni altra persona". Ancora in troppi non si rendono conto della differenza tra poter usufruire di una libertà e abusarne. E, come avviene spesso, il rischio è quello che venga tolta a chiunque. È una questione di salute, anche mentale. Gridare, indistintamente, assassino a chiunque è un modo come un altro di avvelenare il clima sociale. E ciò non è salutare.
Cerchiamo di non essere noi stessi/e, in buona sostanza, il veicolo di un altro tipo di virus: quello dell'odio. Di chi ha bisogno di un capro espiatorio (che prima era il migrante) che viene a mettere a repentaglio la nostra civiltà, poi è il cinese che viene a contagiarci e adesso è chiunque esca di casa, atto fisico che sarebbe sufficiente ad uccidere chicchessia e a vanificare il lavoro del personale delle professioni sanitarie. Il virus non è un uccello che vola via dal nostro corpo nel momento in cui lasciamo le nostre dimore per aggredire persone tanto ignare quanto più meritevoli, per il solo fatto di rimanere chiuse nei propri appartamenti.
Il virus è qualcosa che viene trasmesso anche - e soprattutto - a causa di comportamenti irresponsabili. Cerchiamo di valutare, dunque, quei singoli comportamenti. E, quando non abbiamo gli strumenti per valutarli, cerchiamo di rimanere in silenzio. Sempre preferibile, quando non si hanno validi argomenti per suffragare le proprie ipotesi. O il rischio è quello di gridare all'untore. Con tutto ciò che ne consegue, con il suo carico di violenza e irrazionalità. Lo ha già scritto Manzoni, nelle pagine del suo romanzo. Sarebbe il caso di andare a rileggerlo.
* liberamente ispirato
Si gira e dalla cascina che costeggia la strada, una tizia alla finestra sta gridando. Proprio rivolta a lui. La donna alla finestra l'ha visto fuori casa e la sua reazione è abbastanza violenta. Una persona che non lo conosce, che non sa nulla della sua vita, non sa perché è fuori casa, si sente in diritto di gridargli le sue frustrazioni dalla finestra. Non si sono mai viste prima ma lei, sicura tra le mura domestiche intenta a salvare il mondo, giudica lui, l'assassino fuori casa senza motivo. Non è l'unico caso. Il "restare a casa" è più di un obbligo dovuto a una misura governativa. È un discrimine morale. Fa la differenza tra la vita e la morte. E se esci diventi un assassino. In automatico.
Pensando alla peste di Milano e a I promessi sposi, ciò che Manzoni scrive di quel contagio è analogo a molte cose che abbiamo visto nelle settimane passate. All'inizio pochi casi, qua e là, nel territorio. Alle voci lontane di ciò che avveniva altrove, il popolo ha prima minimizzato, sottovalutando le prime avvisaglie d'allarme: «Ma [...] ciò che fa nascere un'altra e più forte meraviglia, è la condotta della popolazione medesima, di quella, voglio dire, che, non tocca ancora dal contagio, aveva tanta ragion di temerlo. [...] sulle piazze, nelle botteghe, nelle case, chi buttasse là una parola del pericolo, chi motivasse peste, veniva accolto con beffe incredule, con disprezzo iracondo». Dopo di che, non appena ci si convince che il problema è reale, scatta un secondo meccanismo: trovare una categoria sulla quale far ricadere la colpa di quanto avvenuto. Ne I promessi sposi questa categoria era quella dell'untore: «Contro di essi si scatenò spesso l’ira popolare, e si dette anche corso a persecuzioni giudiziarie». Gli untori nell'Italia di oggi sono quelli che decidono di uscire di casa.
E oggi, come nella Milano della peste, le persone affacciate ai balconi o connesse ai social sul proprio monitor del computer osservano attente per scoprire chi "infrange la legge", con tanto di delazioni e fotografie e pubblicate su Facebook, per consegnare alla gogna pubblica il colpevole di turno: «Gli animi, sempre più amareggiati dalla presenza de' mali» leggiamo nel XXXII capitolo, questa volta, e «irritati dall'insistenza del pericolo, abbracciavano più volentieri quella credenza: ché la collera aspira a punire: [...] le piace più d'attribuire i mali a una perversità umana, contro cui possa far le sue vendette, che di riconoscerli da una causa, con la quale non ci sia altro da fare che rassegnarsi».
La parola che oggi sembra aver sostituito "untore", con tanto di trasmigrazione di significato, è quella di runner. Coloro che vanno a fare attività fisica all'aperto. E, più in generale, chi non sta a casa.
Uscire all'aperto per fare attività fisica è qualcosa che i decreti attualmente in vigore permettono seppur con molte restrizioni : "Resta consentito svolgere individualmente attività motoria nei pressi della propria abitazione, purché comunque nel rispetto della distanza di almeno un metro da ogni altra persona". Ancora in troppi non si rendono conto della differenza tra poter usufruire di una libertà e abusarne. E, come avviene spesso, il rischio è quello che venga tolta a chiunque. È una questione di salute, anche mentale. Gridare, indistintamente, assassino a chiunque è un modo come un altro di avvelenare il clima sociale. E ciò non è salutare.
Cerchiamo di non essere noi stessi/e, in buona sostanza, il veicolo di un altro tipo di virus: quello dell'odio. Di chi ha bisogno di un capro espiatorio (che prima era il migrante) che viene a mettere a repentaglio la nostra civiltà, poi è il cinese che viene a contagiarci e adesso è chiunque esca di casa, atto fisico che sarebbe sufficiente ad uccidere chicchessia e a vanificare il lavoro del personale delle professioni sanitarie. Il virus non è un uccello che vola via dal nostro corpo nel momento in cui lasciamo le nostre dimore per aggredire persone tanto ignare quanto più meritevoli, per il solo fatto di rimanere chiuse nei propri appartamenti.
Il virus è qualcosa che viene trasmesso anche - e soprattutto - a causa di comportamenti irresponsabili. Cerchiamo di valutare, dunque, quei singoli comportamenti. E, quando non abbiamo gli strumenti per valutarli, cerchiamo di rimanere in silenzio. Sempre preferibile, quando non si hanno validi argomenti per suffragare le proprie ipotesi. O il rischio è quello di gridare all'untore. Con tutto ciò che ne consegue, con il suo carico di violenza e irrazionalità. Lo ha già scritto Manzoni, nelle pagine del suo romanzo. Sarebbe il caso di andare a rileggerlo.
* liberamente ispirato
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