La violenza maschile sulla donna in questi ultimi anni ha destato molta attenzione solo perché - rispetto al passato - sono aumentate le denunce, tuttavia oggi sono ancora troppo poche, in questi ultimi anni sono nati parecchi movimenti femministi di denuncia che hanno creato un forte interesse mediatico rispetto a quest’argomento - #METOO – NON UNA DI MENO – ma non è bastato e non basta, si stima oggi che nel mondo una donna su tre nella sua vita ha subito violenza e ancora questo fenomeno non si ferma.
Si parla oramai da qualche tempo di “cultura dello stupro” per indicare non tanto l’azione violenta ma un atteggiamento, un modo di pensare, un processo cosciente di creare intimidazione e paura in cui sono mantenute le donne. Tale espressione inoltre, serve ad indicare diverse forme di violenza non solo quella fisica, cosicché si afferma che gli stupratori, i molestatori, gli uomini aggressivi, desiderano con i loro gesti violenti, esercitare una sorta di potere psicologico sulla donna.
Oggi alla donna è spesso negato e non riconosciuto il diritto di parola e della sua credibilità; si sottovaluta spesso la violenza psicologica quotidiana, fatta di ricatti, minacce, molestie, angherie, botte e dispetti, a cui sono sottoposte, dove si ostenta a volte, la descrizione misogina dell’eventuale tornaconto che hanno avuto, pur sopportando tutto.
Per millenni alla donna è stato impedito di parlare, persino ora in alcuni ambienti, le donne non possono far sentire la loro voce, addirittura in alcuni paesi del mondo la testimonianza di una donna vale la metà di quella di un uomo, va ricordato poi che fino al 1996, la violenza sessuale era considerata un reato contro la morale e non contro la persona. Ancora oggi, spesso in ambienti religiosi, è molto diffusa una cultura puritana e moralista che si accanisce contro le donne, mettendone in dubbio la parola e il comportamento.
“Se l’è andata a cercare” “Certo vestita così poteva immaginarsi cosa sarebbe successo” “Se avesse bevuto qualche bicchierino in meno forse, avrebbe evitato quegli incontri” “se una donna ha subito molestie si scrive che ci ha fatto carriera mentre se un uomo ammazza la moglie si scrive che poverino ha agito in preda ad un raptus, ad una rabbia momentanea” “Sii gentile con me e ti darò una parte in un film”.
Basti pensare alla “gogna mediatica” che ha travolto l’attrice Asia Argento, dove la stampa italiana a fronte della sua denuncia di violenza, è stata superficiale, diffidente e ha rappresentato un senso di condanna della donna che ha denunciato, separando dall’evento, le molestie subite e i ricatti, ponendo l’accento sul tornaconto che ha avuto e il ritardo con cui ha denunciato, sottovalutando la violenza psicologica a cui questa e tante altre donne come lei, sono state sottoposte.
I media sono estremamente importanti per sensibilizzare oltre che per informare, non sempre però questo prefissato obiettivo viene raggiunto, anzi spesso è il contrario quando si parla di femminicidio, di questa strage infinita, l’attenzione infatti è spesso rivolta più alle motivazioni del carnefice che alla povera vittima.
La motivazione è sempre la stessa: il maschio non accetta che una donna, moglie, fidanzata, amante o ex (sempre queste sono le categorie contemplate), possa decidere di lasciarlo o semplicemente di respingere il suo corteggiamento. La donna è ancora considerata un oggetto di proprietà dell’uomo: marito o fidanzato che però nelle descrizioni dei media è sempre descritto come un bravo ragazzo, un uomo tranquillo, dedito alla famiglia. Finché non arriva ad accoltellare la moglie davanti ai figli, a sfigurarle il viso con l’acido, ad assassinarla o a rovinarle la vita, fino al gesto estremo di togliersi la vita anch’esso, diventando così doppiamente vittima e si giustifica tutto, inneggiando al raptus mentale dell’uomo.
Se un rapporto finisce le ragioni e le colpe possono essere diverse e attribuibili ad entrambi, ma se tutto degenera in un femminicidio, la colpa è solo di chi lo commette, non della vittima.
Non esiste un amore assassino, non è amore.
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