La conferenza mondiale delle Nazioni Unite (Vienna 1993) ha definito la violenza contro le donne come:
"Qualsiasi atto di violenza di genere che comporta, o è probabile che comporti, una sofferenza fisica, sessuale o psicologica o una qualsiasi forma di sofferenza alla donna, comprese le minacce di tali violenza, forme di coercizione o forme arbitrarie di privazione della libertà personale, sia che si verifichino nel contesto della vita privata che di quella pubblica".
Anche quest'anno il 25 novembre ricorda le cosiddette "morti rosa".
Uccise da mariti, parenti, figli, fidanzati, conoscenti, spasimanti, da separazioni vissute male. Ma anche vittime di rapinatori o semplicemente di uomini violenti, anche solo per futili motivi.
Uccise da mariti, parenti, figli, fidanzati, conoscenti, spasimanti, da separazioni vissute male. Ma anche vittime di rapinatori o semplicemente di uomini violenti, anche solo per futili motivi.
Fenomeno spesso preceduto da violenze psicologiche che poi - quasi sempre - si trasformano in violenza fisica e a volte con il triste epilogo della morte.
Avremmo voluto un 2015 senza femminicidi, ma non è così. Purtroppo la lista delle donne uccise, vittime di quella "cosa" che ancora si ostinano a chiamare amore, è sempre più lunga, troppo lunga e quasi senza fine. È quotidiano l'aggiornamento di questa "storia infinita".
Secondo una ricerca pubblicata dall'ISTAT il 5 giugno 2015, che ha analizzato il quinquennio 2009/2014, il 31,5% delle donne italiane fra i 16 e i 70 anni, ha subito violenza fisica o sessuale almeno una volta nel corso della sua vita: una donna su tre.
Si tratta di di 6 milioni e 778 mila persone - un dato impressionante- forse meno grave di quello registrato nel quinquennio precedente, quando la percentuale era di due punti superiore, ma non consolante - anzi - il fenomeno purtroppo resta diffuso, grave e trasversale.
Questo leggero calo percentuale - quasi impercettibile - riguarda in particolare, la maggiore consapevolezza del problema, delle giovani donne con un livello di scolarizzazione medio alta.
Forti - soprattutto - di una migliore capacità, acquisita con la cultura e col clima sociale di maggiore condanna della violenza di genere, di prevenire e combattere il fenomeno e di denunciare. Il silenzio, l'insensibilità il disinteresse, l'ignoranza e l'omertà non aiutano. Questo dato indica che, il lavoro di sensibilizzazione e d'informazione, svolto nelle scuole, nel territorio, in strada, attraverso articoli, volantini, libri, spettacoli, fatto dalle reti donna, dalle associazioni, dagli sportelli dedicati, dagli ambienti protetti e dai centri antiviolenza, ha innescato un cambiamento, una piccola goccia nel mare che, tuttavia - va detto - non viene abbastanza riconosciuta e supportata dal Governo, il quale -appunto - taglia finanziamenti e supporto logistico, sulla scia di strategici risparmi nazionali.
Questo provoca sempre più spesso, la chiusura e la riduzione di alcune di queste importanti realtà, alimentando così il sommerso, il numero oscuro delle violenze mai dichiarate. Infatti, senza aiuto, alcune donne scelgono di non denunciare, in loro si fa strada la convinzione che "tanto non serve a niente". Inoltre la recente legge sul femminicidio, che non consente il ritiro della denuncia, insieme alla novità del carcere evitato a chi subisce una condanna inferiore ai 4 anni, espone la vittima a ritorsioni e violenze ancora più gravi.
Occorre individuare, capire e risolvere al nascere queste situazioni per evitare l'epilogo di morte così frequente.
Bisogna allora, parlare di “prevenzione e cura” - e non solo - non basta "inasprire le pene": così si cura il sintomo e non la causa. Va bene comminare pene più severe, ma se non iniziamo a curare le persone che hanno questi problemi, non risolveremo nulla. Sono e diventeranno esempio educativo negativo nelle case, nelle famiglie, nelle scuole, nei luoghi di lavoro e nelle comunità. E’ sui modelli comportamentali dell'altro genere, sui luoghi comuni, sugli stereotipi, sulle imposizioni religiose, sul rispetto degli individui in quanto tali e sulla loro libertà, che bisogna intervenire e lavorare: specialmente con i giovani.
I dati sono incoraggianti, ma non ancora sufficienti per la soluzione di tale fenomeno, ecco l'importanza di fermarsi almeno un giorno, per ricordare, pensare, discutere, parlare, raccontare le morti e le violenze e ribadire: basta violenze 365 giorni all'anno.
Rossella
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